Diagnosi prenatale – diagnosi prenatale invasiva
Questo spazio è dedicato alle future mamme e a tutti coloro che cercano informazioni sulla medicina fetale.
Le informazioni qui riportate sono a cura dei medici del Centro di Riferimento Regionale Prevenzione e diagnosi prenatale dei difetti congeniti; hanno carattere divulgativo e non sostituiscono il parere diretto del medico, che deve essere consultato, quando necessario.
La diagnosi prenatale invasiva comprende l’insieme delle procedure diagnostiche idonee a prelevare tessuti embrio-fetali o annessiali per la diagnosi prenatale di difetti congeniti, per la ricerca di agenti infettivi o per la valutazione di parametri ematologici fetali in alcune patologie della gravidanza.
Amniocentesi
L’amniocentesi è un prelievo di liquido amniotico, che si esegue a partire dalla 15esima settimana di gestazione per via transaddominale. Si esegue introducendo un ago attraverso la parete addominale materna sotto guida ecografica continua, quindi senza rischio di danneggiare il bambino o la madre. Prima dell’amniocentesi si esegue un’ecografia, allo scopo di verificare la posizione del feto e della placenta e la biometria fetale (per accertare le dimensioni fetali e quindi l’epoca gestazionale). L’operatore sceglierà il punto più idoneo per l’inserimento dell’ago. Si aspira una piccola quantità di liquido amniotico (pochi ml, tanti quante sono le settimane di gestazione). Dopo l’estrazione dell’ago, si effettua un’ecografia di controllo visualizzare il battito cardiaco fetale.
Solitamente non è necessario l’utilizzo di farmaci analgesici, antibiotici o tocolitici (cioè che inibiscano le contrazioni uterine). Nelle pazienti Rh negative e’necessario somministrare entro 72 ore dal prelievo le immunoglobuline anti-D per evitare l’immunizzazione da Rh, cioè la produzione di anticorpi contro i globuli rossi del feto da parte della madre. Per questo motivo nelle paziente Rh negative il test di Coombs non deve essere eseguito per almeno due mesi durante i quali il risultato sarebbe positivo.
Il liquido amniotico prelevato viene inviato al laboratorio per l’analisi. Le cellule vengono fatte crescere su un apposito terreno di coltura, questo richiede un certo tempo (generalmente almeno 2 settimane).
L’amniocentesi non è particolarmente dolorosa, viene descritta come un semplice esame del sangue. Dopo la procedura è consigliabile riposo inteso come l’astensione dall’attività lavorativa e dallo svolgimento di qualsiasi mansione che comporti il sollevamento di pesi e sostenere sforzi . Nel caso in cui si verifichino perdite ematiche o di liquido amniotico, dolore pelvico intenso (lievi dolori tipo crampi mestruali possono essere normali), febbre maggiore di 38 gradi è bene rivolgersi immediatamente al medico.
Il rischio aggiuntivo di perdita fetale è dell’1%. Operatori particolarmente esperti riportano nelle loro casistiche rischi di circa lo 0.5%. Tuttavia, il rischio è mai uguale a zero.
Nello 0,2% dei casi le cellule in coltura non riescono a crescere (fallimento dell’esame citogenetico), e non è quindi possibile ottenere il risultato. In questo caso può essere ripetuta l’amniocentesi. In caso di mosaicismo cellulare (cioè la presenza di cellule con corredo genetico diverso nello stesso prelievo, 0,2-0,5% dei casi), può essere indicata la cordocentesi per il chiarimento diagnostico. Gli errori diagnostici (risultati falsi positivi) sono molto rari (1:5000) e sono legati all’esperienza del laboratorio.
Cosa si vede con l’amniocentesi
Si evidenzia la presenza di anomalie del cariotipo, quali la sindrome di Down, e la presenza di riarrangiamenti cromosomici visibili al microscopio. Non si ricercano le malattie genetiche se non c’è un’indicazione precisa, come precedenti casi in famiglia di una certa malattia. Questo perchè le malattie genetiche sono migliaia, e non è possibile testarle tutte. E’ quindi possibile che, nonostante il risultato del cariotipo sia normale, il bambino nasca con una malattia genetica.
Villocentesi
La villocentesi è un prelievo di tessuto placentare (villi coriali), che si esegue a partire dalla 10ecima settimana di gestazione per via transaddominale. Si esegue introducendo un ago attraverso la parete addominale materna sotto guida ecografica continua, quindi senza rischio di danneggiare il bambino o la madre. Prima della villocentesi si esegue un’ecografia allo scopo di verificare la posizione del feto e della placenta e la biometria fetale (per accertare le dimensioni fetali e quindi l’epoca gestazionale). L’operatore sceglierà il punto più idoneo per l’inserimento dell’ago. Dopo l’estrazione dell’ago, si effettua un’ecografia di controllo per visualizzare il battito cardiaco fetale. Solitamente non è necessario l’utilizzo di farmaci analgesici, antibiotici o tocolitici (cioè che inibiscano le contrazioni uterine). Nelle pazienti Rh negative è necessario somministrare entro 72 ore dal prelievo le immunoglobuline anti-D per evitare l’immunizzazione da Rh cioè la presenza di anticorpi contro i globuli rossi del feto da parte della madre. Per questo motivo nelle pazienti Rh negative il test di Coombs non deve essere eseguito per almeno due mesi dopo la villocentesi. La villocentesi non è particolarmente dolorosa, solitamente viene descritta come un fastidio. Dopo la procedura è consigliabile riposo inteso come l’astensione dall’attività lavorativa e dallo svolgimento di qualsiasi mansione che comporti il sollevamento di pesi e sostenere sforzi . Nel caso in cui si verifichino perdite ematiche o di liquido amniotico, dolore pelvico intenso (lievi dolori tipo crampi mestruali possono essere normali), febbre maggiore di 38 gradi è bene rivolgersi immediatamente al medico. Il rischio aggiunto di perdite fetali è dell’1% e non differisce in maniera significativa da quello che si osserva dopo l’amniocentesi. Operatori particolarmente esperti riportano nelle loro casistiche rischi di circa lo 0.5%. Tuttavia, il rischio non è mai uguale a zero.
Nelle pazienti Rh negative e’ necessario somministrare entro 72 ore dal prelievo le con immunoglobuline anti-D per evitare l’immunizzazione da RH, cioè la produzione di anticorpi contro i globuli rossi del feto da parte della madre. Per questo motivo nelle paziente Rh negative il test di Coombs non deve essere eseguito per almeno due mesi durante i quali il risultato sarebbe positivo.
I villi coriali vengono inviato al laboratorio per l’analisi. Le cellule vengono fatte crescere su un apposito terreno di coltura, questo richiede un certo tempo.
Nello 0,5-1% dei casi si può verificare il fallimento dell’esame citogenetico. In questo caso può essere ripetuto il prelievo.
Nell’ 1% dei casi all’esame citogenetico si evidenzia la presenza di mosaicismo cellulare (cioè la presenza di cellule con corredo genetico diverso nello stesso prelievo) e può essere indicata l’amniocentesi o la cordocentesi per il chiarimento diagnostico.
Cosa si vede con la villocentesi
Si evidenzia la presenza di anomalie del cariotipo, quali la sindrome di Down, e la presenza di riarrangiamenti cromosomici visibili al microscopio. Non si ricercano le malattie genetiche se non c’è un’indicazione precisa, come precedenti casi in famiglia di una certa malattia. Questo perchè le malattie genetiche sono migliaia, e non è possibile testarle tutte. E’ quindi possibile che, nonostante il risultato del cariotipo sia normale, il bambino nasca con una malattia genetica. I risultati falsi negativi degli esami citogenetici utilizzando la sola tecnica diretta sono da considerarsi rarissimi (1 su 3000). Utilizzando l’analisi diretta insieme a quella colturale, i falsi negativi sono da considerarsi eccezionali (1 su 20000). L’errore diagnostico nelle analisi delle malattie metaboliche e del DNA è in funzione della patologia da ricercare ed è estremamente raro.
Scelta tra amniocentesi e villocentesi
La villocentesi viene effettuata di solito a partire da 10 settimane. L’amniocentesi si effettua solitamente a partire da 15 settimane. Non esiste alcuna differenza sul tipo di patologie evidenziabili con entrambe le metodiche. In mani esperte, l’amniocentesi e la villocentesi hanno rischi di aborto sostanzialmente sovrapponibili. Le differenze importanti tra le due metodiche rigurdano l’epoca gestazionale a cui si esegue la procedura ed i tempi di risposta, che solitamente per la villocentesi sono più rapidi.
Cordocentesi/funicolocentesi
La cordocentesi (o funicolocentesi) è un prelievo di sangue fetale, che viene eseguito a scopo diagnostico e/o terapeutico, a partire dalla 18esima settimana di gestazione.
Le indicazioni alla cordocentesi sono:
- studio di parametri ematologici fetali (ad esempio valutazione dei livelli di emoglobina, nei casi in cui si sospetti anemia fetale)
- determinazione rapida del cariotipo fetale (la risposta si ottiene in circa 48 ore)
- terapie mediche fetali (ad esempio trasfusione in utero)
- ricerca di agenti infettivi
- studio del DNA fetale
Si esegue introducendo un ago attraverso la parete addominale materna. Prima della cordocentesi si esegue un controllo ecografico, allo scopo di verificare la posizione fetale e placentare. L’operatore sceglierà il punto più idoneo per l’inserimento dell’ago, di solito a livello dell’inserzione placentare del cordone, in un’ansa libera o nella parte intraepatica della vena ombelicale. Dopo l’estrazione dell’ago, si effettua ecografia di controllo per valutare l’eventuale presenza di sanguinamento dalla sede del prelievo o di alterazioni della frequenza cardiaca fetale. Solitamente non è necessario l’utilizzo di farmaci analgesici, antibiotici o tocolitici (cioè che inibiscano le contrazioni uterine). Nelle pazienti Rh negative e’ necessario somministrare entro 72 ore dal prelievo le con immunoglobuline anti-D per evitare l’immunizzazione da Rh, cioè la produzione di anticorpi contro i globuli rossi del feto da parte della madre. Per questo motivo nelle paziente Rh negative il test di Coombs non deve essere eseguito per almeno due mesi durante i quali il risultato sarebbe positivo. Il rischio di aborto dopo cordocentesi è del 2%, il doppio rispetto all’amniocentesi. La cordocentesi è una tecnica eseguibile sotto forma di intervento ambulatoriale e solitamente non necessita di ricovero della paziente.
Protocollo di accesso alla diagnosi prenatale invasiva
- età materna al momento del parto pari o superiore ai 35 anni
- genitore portatore di riarrangiamento cromosomico strutturale o di aneuploidia dei cromosomi sessuali
- precedente nato con anomalia cromosomica
- malformazione fetale identificata ecograficamente
- test di screening (test combinato o triplo test) positivo
- ricerca di agenti infettivi nel liquido amniotico
- studio del DNA fetale
- determinazione di metaboliti nel liquido amniotico
- indicazioni particolari valutate da specialisti del settore (genetisti e/o ginecologi)
Prima della diagnosi prenatale invasiva deve sempre essere eseguita la consulenza genetica.
Ultimo aggiornamento
4 Ottobre 2023, 09:14