Medicina fetale – aborto spontaneo e morte intrauterina
Questo spazio è dedicato alle future mamme e a tutti coloro che cercano informazioni sulla medicina fetale.
Le informazioni qui riportate sono a cura dei medici del Centro di Riferimento Regionale Prevenzione e diagnosi prenatale dei difetti congeniti; hanno carattere divulgativo e non sostituiscono il parere diretto del medico, che deve essere consultato, quando necessario.
L’aborto spontaneo è una delle complicanze più frequenti della gravidanza. Si parla di aborto sporadico nel caso in cui sia presente un episodio abortivo nel corso della vita riproduttiva di una donna. Si parla di aborto ripetuto nel caso di 2 aborti e di aborto ricorrente nel caso di 3 o più aborti.
Quando si fa diagnosi di aborto spontaneo
La diagnosi di aborto spontaneo viene posta quando si verificano i seguenti criteri ecografici (linee guida SIEOG Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica 2006):
- non si visualizza l’embrione in una camera ovulare con diametro medio uguale o superiore a 20mm se l’esame viene eseguito per via transvaginale o con diametro uguale o superiore a 25mm se l’esame è eseguito per via transaddominale
- non si visualizza l’attività cardiaca in un embrione con Crown-Rump Length (CRL) uguale o superiore a 5mm se l’esame è eseguito per via transvaginale, o con CRL
uguale o superiore a 10mm se l’esame è effettuato per via transaddominale.
Se tali criteri non vengono soddisfatti, è necessario ripetere l’esame ecografico dopo una settimana salvo diversa indicazione clinica.
Nel caso (piuttosto frequente) di quadri ecografici dubbi (ad esempio test di gravidanza positivo ed assenza di camera gestazionale all’ecografia transvaginale) le possibilità diagnostiche sono le seguenti:
a) può trattarsi di una gravidanza normale, in fase precoce, per cui ancora non si vede la camera gestazionale. Infatti, la camera gestazionale diventa evidente di solito verso la fine della quarta-inizio della quinta settimana di gestazione (contando a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione), e non tutte le donne ovulano in quattordicesima giornata.
b) può trattarsi di un aborto spontaneo, che verrà definito “incompleto” o “completo” a seconda della presenza o meno di materiale residuo in utero.
c) nell’1-2% dei casi può trattarsi di una gravidanza extrauterina (gravidanza ectopica), cioè una condizione in cui l’embrione si impianta in una sede anomala al di fuori dell’utero, ad esempio a livello della tuba, dell’ovaio o della cervice. La gravidanza extrauterina può mettere a rischio la salute materna: infatti la rottura improvvisa (ad esempio della tuba) può essere causa di abbondante emorragia interna. È quindi consigliabile, in tutte le pazienti con minaccia d’aborto e camera gestazionale non visualizzata all’interno dell’utero, recarsi immediatamente dal medico se sopraggiungono forti dolori addominali, perdite ematiche abbondanti, senso di svenimento. È importante ricordare, infatti, che solo in una minoranza di casi la diagnosi di gravidanza extrauterina viene posta ecograficamente, e che i segni clinici sono fondamentali nel guidare verso la diagnosi corretta. La diagnosi ecografica di gravidanza ectopica non e’sempre possibile. Questa può basarsi su segni diretti (visualizzazione della camera ovulare e/o embrione in sede extrauterina) o segni indiretti (utero vuoto con test di gravidanza positivo, falda fluida in cavità addominale, massa annessiale). La diagnosi ecografica di gravidanza ectopica è possibile nel 79-85% dei casi e nell 0.5-1% dei casi si ha una diagnosi “falsamente positiva”.
d) molto raramente (1 su 1500 gravidanze) può trattarsi di mola gestazionale, una patologia della placenta, che viene identificata all’esame del materiale prelevato dopo raschiamento uterino.
In caso di sospetto di aborto, per chiarire il quadro clinico di solito si consiglia la ripetizione dell’esame ecografico a distanza di almeno una settimana e di eseguire prelievi di sangue ripetuti per valutare l’andamento dell’ormone della gravidanza, detto beta-HCG (lo stesso che viene individuato dai comuni test di gravidanza sulle urine).
- nel caso di una gravidanza in normale evoluzione l’ormone beta-hCG aumenta rapidamente, raddoppiando ogni 24-48 ore, la camera gestazionale apparirà ecograficamente quando si superano di solito i 1000U/mL per via transvaginale
- nel caso di un aborto spontaneo l’ormone beta-hCG diminuisce esponenzialmente
- nel caso di gravidanza extrauterina l’ormone beta-hCG tende a rimanere stabile
- nel caso della mola i livelli di beta-hCG risultano estremamente elevati
La minaccia d’aborto
Si parla di minaccia d’aborto, quando si verifica sanguinamento in una gravidanza riconosciuta come vitale, prima della 24esima settimana.
L’ecografia in questi casi talora mostra la presenza di aree di distacco amniocoriale (cioè tra il sacco amniotico e il sacco coriale, che forma la placenta) o ematomi sottocoriali. Questi aspetti ecografici non devono essere confusi con il “distacco di placenta”, un evento che si presenta generalmente nel terzo trimestre di gestazione, con sanguinamento abbondante, che può essere pericoloso per il feto e la gestante. Diversamente, la presenza di distacco amniocoriale o di ematoma, di per sé non pregiudica il normale proseguimento della gravidanza nella maggioranza dei casi.
In molti casi può accadere che all’ecografia non si vedono segni ecografici che possano spiegare il sanguinamento in atto. In questi casi si pensa che: o esiste una piccola area di scollamento, da cui il sangue esce senza accumularsi in un ematoma visibile ecograficamente, o che talora il sanguinamento provenga dal collo uterino (ad esempio da un piccolo polipo del collo, che in gravidanza diventa particolarmente vascolarizzato).
Purtroppo, in alcuni casi la minaccia d’aborto diventa aborto spontaneo, soprattutto quando il sanguinamento aumenta e compaiono intensi dolori uterini, legati alle contrazioni dell’utero che cerca di espellere il prodotto del concepimento. In questi casi è bene rivolgersi al pronto soccorso ginecologico, dove verrà valutata l’indicazione per un eventuale ricovero. Dobbiamo però sottolineare che l’eventuale ricovero è volto più all’osservazione dei casi critici e che al momento attuale non esiste una terapia efficace per evitare un travaglio abortivo in atto.
Con quale frequenza si verifica l’aborto spontaneo
L’aborto spontaneo è un evento piuttosto frequente: circa il 15-20% di tutte le gravidanze si interrompono, generalmente nelle prime settimane di gestazione. Solo nel 2% delle donne però si verificano due aborti, e nello 0.5-1% dei casi 3 o più aborti. In questo caso si parla di abortività ricorrente (o poliabortività), una condizione che necessita di approfondimenti diagnostici specialistici.
È molto importante ricordare che avere avuto un singolo aborto è un’evenienza molto frequente, e che questo non pregiudica la possibilità di avere future gravidanze regolari. Inoltre, è necessario valutare attentamente la storia clinica della paziente, l’anamnesi ginecologica, la storia riproduttiva familiare (soprattutto in linea materna), in base a queste notizie, decidere o meno di proseguire in approfondimenti diagnostico-clinici.
Terapia dell’aborto spontaneo
La terapia dell’aborto spontaneo si distingue in:
- terapia chirurgica: detta anche “raschiamento”. L’intervento viene eseguito sotto sedazione (in pratica si dorme per 5-10 minuti, senza i rischi di una anestesia generale). Si effettua la dilatazione del canale cervicale e poi si inserisce uno strumento a forma di cannula che consente l’aspirazione del materiale residuo. Si controlla poi che l’utero sia “pulito” tramite uno strumento a forma di cucchiaio, che elimina gli ultimi residui del materiale placentare. Le complicanze del raschiamento, per fortuna piuttosto rare, sono: emorragia (5% dei casi), infezione (1-2%), perforazione uterina (0,5-1%). In rari casi, è necessario ripetere l’intervento per l’incompleta evacuazione dell’utero.
- condotta d’attesa: consiste nell’attendere la spontanea evacuazione del materiale abortivo dall’utero, eventualmente aiutata dalla somministrazione di farmaci uterotonici (cioè farmaci che fanno contrarre l’utero). La condotta di attesa è applicabile soprattutto nei casi di aborto incompleto, mentre più raramente ha successo nel caso degli aborti interni, che possono impiegare anche diversi giorni prima che il materiale endouterino venga espulso. Possibili complicanze della condotta d’attesa sono soprattutto il sanguinamento, che può diventare abbondante soprattutto al momento dell’espulsione del materiale abortivo, e dolori pelvici. Infatti, se tali condizioni si presentano, si può porre l’indicazione per un raschiamento d’urgenza.
Cause di aborto spontaneo
Le cause di aborto spontaneo sono molteplici:
- anomalie cromosomiche: si riscontrano nel 50-70% degli aborti al primo trimestre, la frequenza aumenta all’aumentare dell’età materna. Solitamente le anomalie cromosomiche non sono causa di aborti ricorrenti, se il cariotipo (cioè il set dei cromosomi) dei genitori è normale
- alterazione del cariotipo dei genitori, che crea cellule uovo o spermatozoi con corredo genetico alterato
- alterazioni uterine, ma solo se modificano significativamente la struttura dell’utero: utero setto, miomi sottomucosi (che ostacolano l’impianto dell’embrione)
- incontinenza cervicale: la cervice risulta debole e si apre sotto il peso dell’utero, anche in assenza di contrazioni. L’incontinenza cervicale è causa di aborti tardivi (terzo-sesto mese)
- fattori immunologici: anticorpi antifosfolipidi, malattie autoimmuni
- sindrome dell’ovaio policistico: maggiore produzione di androgeni e resistenza insulinica sono forse le cause di maggior frequenza di aborti nelle pazienti con sindrome dell’ovaio policistico
- iperprolattinemia (ma il legame con il rischio di aborto è controverso)
- infezioni: agenti infettivi che attraversano la placenta, infettando il feto e causandone la morte (per esempio toxoplasma, rosolia, citomegalovirus) oppure infezioni vaginali non trattate (“vaginosi batterica”), che possono scatenare un processo infiammatorio con produzione di mediatori che innescano contrazioni uterine e che portano ad aborti tardivi o parto pretermine. Talora la febbre alta nelle prime settimane di gravidanza può essere causa di aborto.
- trombofilia: le condizioni in cui il sangue coagula in eccesso ostacolano il normale adeguamento circolatorio alla gravidanza
- diabete, alterazioni tiroidee: se trattate correttamente e tenute sotto controllo adeguatamente, non sono causa di aborto.
- insufficienza del corpo luteo: condizioni in cui il corpo luteo non produce abbastanza progesterone, l’ormone che favorisce l’impianto e il mantenimento della gravidanza nel primo trimestre.
Bisogna però ricordare che nella maggioranza dei casi non si riesce a trovare la causa che possa aver determinato l’aborto, specie quando questo è stato occasionale. Viceversa, in caso di aborto ricorrente, diventa importante cercare di identificare la causa e se possibile rimuoverla.
Prevenire l’aborto spontaneo
Nei casi di abortività ricorrente (3 o più aborti) è necessario cercare di identificare i fattori scatenanti, prima di iniziare una successiva gravidanza.
In particolare puo’essere utile richiedere alcuni esami di base come:
- ecografia pelvica: per escludere anomalie uterine
- esami ematici per diabete, tiroide, condizioni di trombofilia e alcune condizioni immunologiche, come la celiachia
- cariotipo dei genitori (per confermare la normalità del corredo cromosomico)
- cariotipo del materiale abortivo (al momento del raschiamento, parte del materiale puo’essere inviato per l’esecuzione dell’esame citogenetico)
Possibili trattamenti:
- progesterone: efficace nei casi legati ad insufficienza del corpo luteo, ha la funzione di rilassare l’utero. Tuttavia non esiste evidenza scientifica che riduca il rischio di aborto anche negli altri casi.
- terapia della sindrome antifosfolipidi e di condizioni di trombofilia: aspirinetta e/o eparina a seconda dei casi
- cerchiaggio della cervice, nei casi di incompetenza cervicale: inserimento per via vaginale di una “fettuccia” che tiene chiuso il collo dell’utero. Il ruolo del cerchiaggio nella prevenzione del parto pretermine è molto controverso.
- trattamento di diabete o di patologia tiroidea.
Morte intrauterina
La morte in utero del feto è un evento che deve essere sempre valutato attentamente. Infatti, mentre gli aborti nel primo trimestre sono eventi piuttosto frequenti e sono spesso legati ad anomalie cromosomiche, le perdite fetali devono essere indagate attentamente prima di iniziare una gravidanza successiva, allo scopo di correggere gli eventuali fattori determinanti.
Le cause di morte in utero si sovrappongono in parte a quelle riportate per le perdite al primo trimestre, e si distinguono in:
problemi materni:
- diabete mellito
- ipertensione pregravidica o in gravidanza
- malattie del connettivo (che sono malattie a patogenesi immunologica)
- trombofilia (situazioni in cui il sangue coagula in eccesso)
problemi fetali:
- infezioni da parassiti, batteri o virus
- malattia emolitica (isoimmunizzazione materno-fetale, con grave anemia del feto)
- problemi del cordone (prolasso di funicolo, trombosi, nodo vero serrato, torsione del funicolo)
- malformazioni gravi, anomalie cromosomiche e sindromi genetiche
- problemi della placenta: disfunzione placentare nel ritardo di crescita grave, distacco di placenta
- sindrome da trasfusione feto-fetale nelle gravidanze gemellari monocoriali
Cosa succede dopo la diagnosi di morte in utero?
Sebbene gli studi ci dicano che il naturale decorso dopo una morte intrauterina è una fisiologica spontanea attivazione del parto entro le due settimane dalla morte del bambino, solitamente si preferisce indurre il parto entro le 48 ore successive alla diagnosi, soprattutto per evitare possibili rischi per la salute della madre.
Per questo, dopo la diagnosi di morte in utero, generalmente si induce il travaglio tramite la somministrazione di prostaglandine intravaginali, sotto copertura analgesica. A volte la risposta non è immediata, specie alle epoche gestazionali precoci. In questo caso, dopo un giorno di “riposo”, si riproverà l’induzione del travaglio.
Dopo il parto, specialmente alle epoche gestazionali più avanzate si può verificare la comparsa della montata lattea. Per prevenirla è utile la somministrazione di farmaci che inibiscono il rilascio di prolattina, che è l’ormone che regola l’allattamento
Aborto e morte intrauterina nelle gravidanze gemellari
L’aborto nella gravidanza gemellare è un fenomeno che si realizza più frequentemente nel corso delle prime settimane di gestazione. La camera gestazionale con il piccolo embrione viene riassorbita, per cui si parla di “vanishing twin”, cioè di gemello che scompare. Nella grande maggioranza dei casi la gravidanza va avanti come singola, senza problemi particolari per l’embrione restante, sia nel caso di gemelli bicoriali, che nel caso di gemelli monocoriali.
Diversamente, se la morte in utero avviene nel corso del secondo/terzo trimestre, ci possono essere dei problemi, soprattutto nel caso di gemelli monocoriali. Infatti i gemelli monocoriali condividono la placenta e sono collegati tra loro da anastomosi vascolari. La morte di un gemello crea un sequestro di sangue verso il suo territorio placentare, per cui il gemello restante può andare incontro a una emorragia acuta, che comporta in circa la metà dei casi morte o danno cerebrale da ipovolemia (riduzione della massa ematica con riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello). Nella restante metà dei casi il secondo gemello sopravvive senza complicanze neurologiche. Per valutare l’eventuale danno cerebrale di solito si richiede, oltre all’ecografia, una risonanza magnetica fetale, da eseguire generalmente a 4-6 settimane dall’evento. Una delle cause principali di morte in utero nelle gravidanze monocoriali è rappresentata dalla sindrome da trasfusione feto-fetale.
Nelle gravidanze bicoriali, il problema dell’emorragia non esiste, infatti ogni gemello ha il suo territorio placentare. Possibili rischi legati alla morte in utero di un gemello nella gravidanza bicoriale sono dovuti principalmente alla prematurità: infatti la presenza di tessuto fetale e placentare in necrosi, può determinare il rilascio di sostanze che attivano le contrazioni uterine. La morte in utero di uno dei feti solitamente non è un’indicazione ad anticipare il parto. I casi di coagulopatia materna da morte in utero riportati in letteratura sono talmente rari, che non dovrebbe essere questa l’indicazione al parto, soprattutto alle epoche gestazionali più precoci, quando i rischi della prematurità sono ben superiori. Il management dei singoli casi deve essere gestito da un team ostetrico esperto nel settore, meglio se all’interno di un ospedale di terzo livello.
A chi rivolgersi in caso di poliabortività o di morte in utero
Presso AOU Careggi il servizio che si occupa di poliabortività e gravidanza dopo morte in utero è la “Medicina Prenatale – Gravidanze a rischio”.
L’appuntamento può essere richiesto per “visita preconcezionale” al Accoglienza e Accettazione Materno Infantile
Ultimo aggiornamento
18 Settembre 2023, 14:40